I disturbatori
potlach
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In un film recente una giovane ragazza greca continua dicendo al suo amico “Il mondo sta andando a pezzi. Bisogna essere proprio suonati per aggrapparsi alle sue rovine” *. E’ una bella frase. Può apparire tragica come immagine ma nella sua evidenza la si può considerare come una gigantesca finestra aperta su eterogenee dimensioni di possibile. Dopotutto, le crisi decennali in corso urlano di un’umanità sul crinale di un paradigma del tutto nuovo: “Atene è caduta” si sente dire tra le strade di mezzo mondo volendo significare l’epilogo di una cultura. Un perenne conflitto tra poteri e povertà è inscritto, da sempre, nel riconoscimento reciproco ed indiscusso della convenzione del denaro. Quale che sia l’esito delle tendenze dei movimenti in atto a noi pare certa, per lo meno nel medio periodo, l’impossibilità della scomparsa di un tale rapporto di forza che anima e smuove l’organizzazione umana sin dai suoi albori patriarcali. Stabilita una simile cornice, guardare al mondo può significare allora interrogare il vissuto. Come permetto alla mia vita di esprimere la sua vitalità nelle condizioni vigenti? Come permetto all’immaginazione di restare elettrica? Di cosa necessita la curiosità per crescere bambina? A quale campionario di qualità rivolgo il mio desiderio materiale? E quello affettivo? E’ chiaro che non ci sono risposte univoche a queste domande ma non di rado se ne costituiscono di comuni tra individui. Ecco, è li che vediamo il mondo, nella viva intelligenza del corpo collettivo.